POETRY
OLTRE
Un paio d’ali
per svettare
su cime sconosciute,
per passeggiare
su lamine di luce
che trapassino
gli arazzi
di chiazze screziate
sullo straripare del cielo.
Un paio d’ali
per peregrinare
sui fregi imbevuti
da gocce di stelle,
sfrondando
sculture di nubi
nel dardo di luce rappresa
sullo sciabolare
del tramonto.
Un paio d’ali
per navigare
su tracce sbavate
nel filo di perle di Orione,
snodato
sul vessillo di luna
trasudato
fra il sordo inondare
della notte.
OLTRARNO
Rimiro l’ Oltrarno
e la melanconia si discioglie
nello sfumare di Firenze
sui bagliori viola
che ne disegnano le sponde
innalzando il sipario
sul rito del tramonto.
E mi stordisco
nel respiro d’ infinito
dove le sensazioni evadono
dai binari delle parole,
dileguandone gli accenti
negli echi del non detto.
Alveo di fango
Quell’ antro sospeso nell’esistenza
per aggrapparsi
ai più remoti anfratti
dove le lame della tua pena
non ti fenderanno.
Quell’ antro sospeso nell’esistenza
dove sedimentare
il fardello dei tuoi ricordi
come turbinio di vivide impronte
incise sui penetranti
sbadigli del vento.
Quell’antro sospeso nell’esistenza
per deporre i fantocci
dei meschini rimpianti
e trasfigurare la pallida luce
di una fioca rimembranza
nelle rime sfuggenti
di pensieri inespressi.
Quell’antro sospeso nell’esistenza
per non naufragare
sull’ alveo di fango
ai piedi del loto
e ritrovare i grovigli di cenere
come sagome di un’ombra
tracimata
su guizzi di luce striati
nel languido albeggiare.
CENERE
Dietro le spirali
di rivoli di fumo
fluttuava quel volto.
Si dileguava
e riappariva
intrecciato sulla spola
di disegni ellittici
scaturiti dalla matita
di un pezzo di incenso.
La coltre biancastra
in un’impalpabile nuvola
si stagliava e danzava
pattinando sul tappeto
dell’aria.
Le forme si componevano
delineando i ritratti
di quei volti riconoscibili
in un gioco di rimandi,
per identificare
le molteplici presenze
che affollano la solitudine.
E l’anima smarrita
in questa materia
di acre fragranza
si lava
annegando nel sale delle lacrime
come brina all’aurora
che si lascerà
ancora asciugare
sulla brughiera
con i miei grumi
di cenere.
TE NE ANDASTI
Te ne andasti
in una mattina afosa
tra i mesti bagliori
degli ultimi scorci d’estate.
Te ne andasti
con ali rampanti
nello svaporare delle nubi,
impalpabili veli
che tralucevano
negli spazi interminabili
dei luoghi infiniti.
Te ne andasti
solcando i gradini dell’aria
tra i letti fluenti
delle valli del vuoto.
Te ne andasti
nella ineluttabile passione
slanciandoti nelle lande impervie
tra le braccia dell’altrove.
Te ne andasti
e ormai giaci
nell’occulto sezionato dal tempo,
reciso
in un colpo di vento
nei dilatati soffi
dell’immenso
nulla.
TRA GLI SPAZI
Lascio cullare i miei pensieri
come un’onda di rugiada
che accarezza la brughiera
alla luce del mattino,
avviluppandomi alle note gravi
dell’incessante incalzare
del respiro penetrante
del mare.
E mi scorgo
assopita alla deriva
levandomi come timidi
soffi di brezza
che gioca sui flutti
disegnandone
una distesa infinita.
In questo ritmo pulsante
riconsegno
alle mie ombre
ritagliate tra la folla
della mia solitudine
il frastuono
del mio silenzio.
AI CIPRESSI
Nel ridondare
del fruscio di tramontana
si dimenavano
i fumi di quei ceri
consumati tra le fuliggini
di un pezzo di marmo,
quando si abbandonava
ancora una lacrima
all’ impietoso vagabondare
delle forme astratte di un ricordo
divenuto ormai ombra vagante
oltre l’invisibile sfocare
della tenue filigrana della nebbia.
Nel fluire dei pensieri
si delineavano
le figure ricomposte
tra le sagome del nulla
trascinate nei confini sfiorati
dalle cime indistinte
dei tessuti eterei delle nubi.
E mi sovviene ancora parvenza
di riscoprire i percorsi infiniti
di quel velivolo
restituito al volteggiare nell’immenso,
quando trovo il congedo di un nuovo sole
scontornato tra le fronde innevate
di un cipresso,
per adagiarmi come profuga
sui gelidi intarsi
di una nuda pietra.
VENTO DELL’ADRIATICO
Scorgo il battito d’ali
della Diomedea
perdersi nel crepuscolo
che mestamente restituisce
la luce
alla culla del mare.
Il mormorio
del quieto ondeggiare
echeggia sulle note
della brezza salmastra
la sua musica sommessa.
Nel trasporto
di una perpetua danza
si intrecciano sui flutti
i disegni schiumosi
che trasfigurano
nella coreografia del vento
per sfumarsi all’orizzonte.
E i pensieri si spogliano
delle loro ombre
per riprenderle e sparire
nell’indugiare del rito
che lascia inghiottire
il rosso del sole
dalla coperte viola
frastagliate dalle onde.
E nel fremito del vento
rifluisce la Diomedea
che ancora alla notte
consegnerà
tra i solchi biancheggianti
di una scogliera
il suo solenne pianto.
LETTERA DI UNA BAMBINA
Son passate ore,
son passati giorni,
son passati mesi.
Passeranno anni
papà,
che avrò il nulla
oltre il vetro di una foto
a raccontarmi
di te,
da quel giorno
che il frinire della cicala
estrapolava le parole
del tuo ignaro addio,
quando i tuoi passi
non sgualcivano più
il tappeto
che ci ha visti uniti
nei nostri giochi,
nei nostri pensieri,
nei nostri abbracci.
Cosa rimarrà
del mio pianto di bambina,
delle malinconie di adolescente,
dei momenti
che avrei voluto condividere
con te
dietro i tuoi sorrisi,
dietro le tue carezze.
Dietro la tua voce
che mi avrebbe fatto tuffare
tra i panorami del mondo
attraverso le emozioni
del tuo sguardo.
Richiuderò
tra i bendaggi del tempo
l’emorragia di domande
a cui nessuno
potrà mai rispondere
e mi incamminerò
per la mia strada,
papà,
chiedendomi ancora
cosa sia stato
a volere questo
per noi.
Un giorno d’estate
Era tiepida la brezza
nell’ora tarda di quel mattino
inciso nell’usuale scenografia
tratteggiata nel divampare di cromie
che sfumavano il granturco in chiaroscuri platinati
di quei giorni di fine estate.
Il luccichio delle nubi
sgomitolava i percorsi di quel velivolo fiero,
ormai intriso in lamine di luci sguainate dal sole.
Il sibilo del vento si levava maestoso,
unico sospiro percettibile in quel desolante silenzio
che intonava sommessamente
i passi struggenti di una preghiera.
Nell’oblio di un marmo
ora riposi,
nella sacralità di un altare
dove la mia anima aleggia e si inginocchia
nell’incanto di una danza che incessante mi rapisce
per condurmi a ritrovare la sponda di quel fiume
dove si è inabissato copioso
il mio pianto.
E nella culla di una piroga
guardo ancora il volto tenue della luna
che si accingerà a far brillare
col suo pallore
le mie notti insonni,
per tornare ad assopirmi
sul ricordo
di una tiepida brezza
nell’ora tarda di quel mattino
in un giorno di fine estate.
CALCO D’OMBRA
Come il pitosforo
sfidavo immune
la ruggine di salsedine
tra lo strizzare del vento
che trainava
il petto piagato
di un pellicano
nel goffo decollare
sull’atollo madreporico,
aspergendo
il rivolo di sangue
sul calco d’ombra
di una poderosa apertura alare.
E il profumo
del pitosforo
asciugava tra i fiori bianchi
il mio viso madido,
indenne
dal rovente corrodere
dell’effluvio salmastro.
ROMANTICA
Nell’incedere di una fitta trama
di acqua piovana
echeggiava quel fragore
di un impetuoso temporale
dirompendo nella sospensione
della luce grigia
convogliata tra i profili
di una città assente,
ormai coinvolta
nella sintassi
della musica del sonno.
Sui timidi balzelli
di un minuto passerotto
si perdevano
i lumi soffusi
che macchiavano le stesure
del sontuoso erigersi
di un fiammante arcobaleno,
serpeggiato nel fendere
di un ansimante grecale.
Mud Riverbed
That Hole suspended in the Existence
to cling to the innermost Recesses
where the blades of your pain
won’t cut through you.
That Hole suspended in the Existence
where to sediment
the burden of your memories
like a whirl of vivid impressions
engraved on penetrating
yawns of the wind.
That Hole suspended in the Existence
to lay the puppets
of useless regrets
and transform the pale light
of a dim remembrance
into the elusive rhymes
of unspoken thoughts.
That Hole suspended in the Existence
not to be wrecked
on the Mud Riverbed
at the roots of Lotus
and to rediscover the tangles of ash
like shapes of a shadow
overflowing
on wriggles of light streaked
in the languid dawn.